Io non lo so bene cosa sia il cuore. Che significato abbia, in che modo sia meglio usarlo… Per me è soltanto una parola
scriveva Haruki Murakami in “La fine del mondo e il paese delle meraviglie”.
Questa è l’opinione di uno scrittore (uno dei miei preferiti), mentre per noi graphic designer il cuore è un segno simmetrico, un simbolo che rappresenta l’amore oppure – quando dobbiamo essere letterali – la salute o il benessere.
Io adoro le icone, ma non è facile saperle maneggiare: riuscire a trasformarle in qualcosa di vibrante e unico, pur mantenendone semplicità e riconoscibilità.
È quello che è successo nel 1998, quando Paula Scher, con uno schizzo su un tovagliolino di carta (come recita la leggenda), ha fatto evolvere l’icona di un ombrello in un segno per raccontare la fusione di due multinazionali: Citicorp e Travelers Group.
È nata Citi: l’ombrello è rimasto, con una lettera “t” che funge da bastone, ma il semicerchio è diventato anche un ponte, la testimonianza di un’operazione industriale complessa e gigantesca nel suo giro d’affari. E le ha infuso una vita nuova.
Parlo di questo logo, citato in mille case study, perché recentemente ci ha messo mano Allan Peters, un grafico dispettoso e ironico che ha riempito il mondo di bollini rossi per Target.
Peters ha fatto un esperimento: ha ruotato il logo di Citi e, raddoppiando il segno originale, ha costruito un cuore.
Vuole dirci che anche una banca può trasmettere amore? Non lo sappiamo… In ogni caso non si tratta di un rebrand ufficiale e, siccome dubito che Citibank ambisca a creare un Brand da “scatola di cioccolatini”, probabilmente rimarrà solo una provocazione.
Conferma però la mia teoria: le icone, anche le più semplici e scontate, riescono a stupire e a catturare l’attenzione quando vengono trasformate in qualcosa di inaspettato.
Insomma, come lo stimato Murakami, nemmeno io so che significato abbia il cuore, ma ho capito che è bello anche usarlo in l(u)oghi insoliti.