Odio i tacchini!

Ebbene sì, odio i tacchini da quando, da bambino, sono stato aggredito da una mezza dozzina di pennuti nella mia casa di campagna. Sono cattivi, aggressivi e puzzano terribilmente. 

Perciò per la prima volta (e credo anche l’ultima) sono d’accordo con il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan che ha chiesto all’ONU di cambiare l’esatta dicitura per il suo Paese che, nella sua traduzione inglese, Turkey, equipara il suo Paese a un tacchino.

Perché non basta una maiuscola per non sentirsi il piatto forte della cena del Thanksgiving.

Appellandosi nella sua missiva al Segretario Generale Antonio Guterres al Cambridge English Dictionary ha sottolineato come, tra i significati simbolici del termine, ci siano inoltre anche un paio di accezioni lesive della dignità e della grande storia della Turchia: “qualcosa di gravemente difettoso/persona stupida o sciocca”
E ce l’ha fatta, quindi a breve tutti i beni prodotti al di là del Bosforo saranno Made in Türkiye. Per noi italiani la pronuncia cambia poco, ma era l’inglese il suo obiettivo.

Il Rebranding delle nazioni ha una lunga storia.
Risale al 1935 quello della Persia in Iran e al 1939 quello da Siam in Tailandia mentre quello che oggi chiamiamo Zimbabwe era Rhodesia fino agli Anni Settanta.

C’è stato il caso lungo e complicato del Brand Macedonia, rivendicato per anni sia dai greci che dagli abitanti della Repubblica balcanica confinante, poi ribattezzata Macedonia del Nord.

Il Paese a noi più vicino che si è “rifatto il Brand” è stata l’Olanda nel 2020.
Il caso sicuramente più completo e integrato di Rebranding.

 

Per Il “lancio” del nuovo nome (Nederland) è stato infatti stanziato un apposito budget e messo a punto un nuovo logo: un tulipano stilizzato che lega le due lettere N e L. 

L’annuncio, coerentemente con lo spirito della campagna che voleva affrancare l’immagine della nazione dal centralismo di Amsterdam e i suoi derivati nell’immaginario collettivo (coffee-shop e quartiere a luci rosse), avrebbe dovuto avvenire nel corso degli Eurovision di Rotterdam, poi è arrivata la pandemia, ma sono andati avanti, decisi nella scelta di voler comunicare “un’immagine chiara e ben definita, positiva per l’export e per attrarre investimenti e talenti”, come disse la ministra per il commercio estero Sigrid Kaag.

È sempre frutto di un percorso, il Rebranding, che siano aziende o Stati sovrani non fa grande differenza. La vera differenza la fa la determinazione di voler fare di questa scelta un’occasione di crescita, e a seguire la qualità dei codici narrativi.

Trovarne di nuovi ed efficaci è una sfida che personalmente ritengo affascinante.
La Turchia per ora si ha scelto di limitarsi ad adottare solo il simbolo dell’hashtag prima del suo nome originario, vedremo se questo è solo l’inizio di qualcosa di più.