In medio stat vitium

Con Paula Scher le cose che abbiamo in comune sono “solo” un paio (non 4850 come canta Daniele Silvestri). Anche lei figlia di ingegnere, arrivata alla grafica perché:

il graphic design aveva uno scopo, potevo imparare a risolvere problemi.

Anche lei ha lavorato per l’industria musicale quando le cover degli album facevano la differenza. 

Soprattutto con lei ho sempre condiviso un’estetica e una visione del graphic design come un gioco che deve stupire, ma non deve mai dimenticare che svolge sua funzione precisa: comunicare. 

Quest’anno Paula Scher è stata selezionata da D&AD per ricevere l’ambito Special President’s Award “in riconoscimento della sua difesa dell’eccellenza e dell’originalità del design”. E della sua lunga e strepitosa carriera, aggiungerei.

1970 – Seymour Chwast e Paula Scher

2017 – Paula Scher presso gli uffici di Pentagram, NYC

Che inizia negli Anni Settanta a New York presso la Random House (divisione libri per bambini), esplode con il suo passaggio alla CBS quando diventa Art Director nel reparto cover e arriva a progettare 150 copertine all’anno (tra cui quella del primo album dei Boston, 6 milioni di copie vendute!), e la consegna al mito con il suo ingresso – prima donna in assoluto – come partner in Pentagram, Fifth Av, NYC. Qui, con il suo progetto per il Public Theatre, darà a tutti gli addetti ai mestieri una grande lezione.

“Sebbene Paula abbia lavorato per clienti di tutte le forme e dimensioni, il suo lavoro per Public Theatre è una lezione di perfezionamento di 27 anni su ciò che la grafica audace e bella può fare per la reputazione e il successo di un’organizzazione culturale. Per me, solo questo meraviglioso progetto è degno di questo premio” ha dichiarato il fiduciario ed ex presidente di D&AD e partner emerito di Pentagram, Naresh Ramchandani.

Ma poi ci sono Tiffany&Co, Windows 8, MoMa, Citibank e tantissimi altri Brand per i quali la Scher ha inventato una simbologia completamente nuova, nella quale il paesaggio urbano è stato trasformato in un ambiente dinamico di progettazione grafica dimensionale. 

Ed ecco come una Brand Identity azzeccata può lasciare un segno importante nel mondo attorno e rientrare nella storia del costume di una società.  

Al di là della battuta con la quale ho iniziato questo tributo alla dea del design, a farmi sentire “a casa” nei progetti di Paula Scher c’è quell’amore sempre ponderato per la contaminazione tra la raffinatezza dell’Art Deco e il vocabolario formale del Costruttivismo russo, quel mix che nei suoi sviluppi grafici raggiunge un livello di perfezione esemplare tra matericità e leggerezza, gioco e serietà, rigore e fantasia, senza mai scegliere compromessi e “vie di mezzo”. 

“Less is more and more is more. It’s the middle that’s not a good place”

l’ha detto lei, ma io lo stamperei sulla porta d’ingresso di ogni agenzia creativa (cosicché ogni cliente lo legga, prima di entrare con il brief sottobraccio).

P.S. C’è una docu-serie su Netflix, si chiama Abstract: The Art of design. Ci sono i grandi maestri (tra cui ovviamente lei) e i nuovi protagonisti di questo meraviglioso e indefinibile lavoro… tranquilli non spoilero altro.